Vieni qui che non ti faccio niente
- Giandomenico Oliva
- 3 mag 2022
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 26 ott 2024

Immaginatevi la scena. Un ragazzino con la faccia impaurita che cerca di giustificarsi, come a dire: «Giuro che non ho fatto niente». Di fronte a lui una mamma che, visivamente spazientita, con una mano lo tiene per i polsi e con l'altra lo minaccia di punirlo con una ciabatta sillabando i colpi: «Qua-te-vol-te-te-lo-de-vo-di-re-di-non-fa-re-dan-ni?».
C’era una volta…
Sembra una scena di vita quotidiana del XXI secolo e, invece, è il racconto che è possibile leggere su di un vaso di circa 2.000 anni fa. Ci troviamo nel 360 avanti Cristo a Taras, colonia spartana della Magna Grecia, che oggi corrisponde grossomodo con la città di Taranto. Durante il rito di purificazione delle future spose precedente alla cerimonia delle nozze si utilizzava un lebes gamikos, ovvero un vaso nunziale con manico ad anello in terracotta a figure rosse, ricoperto da una vernice nera che lasciava il colore dell’argilla nella parte dei personaggi. Taras è stato il maggior centro di produzione di ceramica a figure rosse di tutta l’Italia meridionale e l’anonimo ceramografo apulo ha ripreso la consolidata tecnica per decorare il vaso con scene di vita quotidiana i cui protagonisti erano per lo più eroi o divinità.
In questo caso troviamo tre figure. Una donna sulla destra vestita con un abito semi-trasparente decorato nella parte inferiore e adornato da ricchi gioielli, un bambino alato completamente nudo e un giovane che guarda la scena con un piede su di un altare e una colomba in mano. Il bambino e la donna non sono altro che due personaggi ampiamente conosciuti nella mitologia greca ovvero Eros, il dio dell’amore chiamato Cupido dai latini, e sua madre Afrodite, la dea della bellezza chiamata Venere dagli antichi romani.

…Pollon
Ma perché la dea picchia il figlio? La scena si rifà al mito greco secondo il quale Afrodite rappresenta la forza irresistibile che spinge gli esseri umani gli uni verso gli altri in contrasto con l’indisciplinato e disobbediente figlio che, con le sue frecce, colpiva indiscriminatamente il cuore di uomini e donne facendo innamorare perdutamente le persone sbagliate.
Proprio per questo, nelle rappresentazioni attuali, Eros è l’icona del giorno degli innamorati, spesso rappresentato bendato proprio per sottolineare che l’amore è cieco e colpisce tutti, indipendentemente dall’età, dal sesso, dalla religione e dall'estrazione sociale. Ma è anche il co-protagonista del manga giapponese Pollon, rappresentato da un angioletto brutto, basso e con un ombelico pronunciato che se ne va a lanciare frecce agli innamorati combinando ripetutamente disastri quando si trova con l’amica Pollon. O del racconto Amore e Psiche, una favola senza tempo di Apuleio che narra la storia d’amore tra il dio Eros e la bella ma mortale Psiche, metafora dell’eterna lotta tra la razionalità e l’istinto, tra cuore e cervello. Di quest’ultimo racconto, famoso è l’omonimo gruppo scultoreo di Antonio Canova conservato nel museo del Louvre di Parigi.

Addio al nubilato
Proprio per questo mamma e figlio sono i protagonisti principali rappresentati sul vaso nunziale (oggi conservato al MArTA, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto) e hanno un significato altamente coniugale ed erotico. Afrodite, picchiando Eros, esorta la sposa al contenimento dell’amore passionale tipico dell’eros e al mantenimento della fedeltà data dal matrimonio a cui è chiamata.
Perciò, per quanto sia discutibile il metodo educativo utilizzato nella forma della ciabatta come strumento pedagogico, possiamo affermare che le ciabatte volano fin dal 360 a.C. e che quello rappresentato è sicuramente il primo «Vieni qui che non ti faccio niente» della storia.
E come direbbe il cantante omonimo del dio dell’amore: «Ci vuole passione con te, non deve mancare mai, ci vuole mestiere perché, lavoro di cuore lo sai. Cantare d'amore non basta mai…»
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